sabato, dicembre 15, 2007

Siemens C25 († 2007)

Sono un nostalgico e non lo posso negare, mi affeziono a tutto. Mi affeziono alle persone, e non riesco a dimenticare, ma sono talmente nostalgico da affezionarmi anche agli oggetti e così eccomi qui, all'una di notte di un freddissimo sabato sera davanti al PC, un po' di lenti nelle cuffie, a prendere commiato dal mio C25.

Acquistato alle 17.13 del diciassette aprile millenovecentonovantanove. Avevo 18 anni e ricordo ancora le menate che si facevano agli amici che compravano i primi telefonini, tutti rigorosamente Nokia. Erano tempi. Alla fine decisi di entrare anche io nel novero e all'epoca, credetemi, per uno studentello del quinto anno 399mila Lire non erano poche davvero. Me lo regalai per il mio compleanno, sospetto grazie al contributo dei parentes, ma pochi dei denari che ho speso nel corso della mia vita sono stati meglio investiti.

Ricordo la prima suoneria dedicata ad una persona particolare, e la SIM della Blu comprata per parlare con lei e solo con lei quando si è trasferita a Padova, e ricordo quanto quella suoneria abbia fatto arrabbiare quell'altra persona particolare, conosciuta qualche anno dopo. Ricordo le serate passate a trovare le note del tema di Indiana Jones per il compositore di suonerie (se ne poteva registrare solo una alla volta) e ricordo le notti passate ad aspettare che quello schermo verde si illuminasse per leggere un SMS tanto atteso.

Ricordo che quando, fra i primi qui a Genova, ho attivato un piano tariffario Wind, la compagnia si appoggiava ancora alle reti di TIM e Omnitel (non Vodafone, Omnitel!) e io ero quello che prendeva meglio di tutti... e gli SMS erano gratis!! E quando per la prima volta abbiamo viaggiato in Francia i bombardamenti di messaggi per spiegare il roaming - che per inciso, nel 2007 per me rimane ancora una bestia strana assai.

Ricordo esattamente dove eravamo quando è caduto e si è rotta l'antenna, ma lui imperterrito ha funzionato per altri cinque anni. E quando, dimenticato immancabilmente acceso, squillava mentre facevamo l'amore.

Mentre cercavo, disperato, il primo lavoro, avevo comprato due batterie per averne una sempre carica e non rischiare di perdere la chiamata decisiva per un colloquio.

Gli amici mi hanno deriso per anni per il mio telefonino che chiamavano "citofono", ma che in realtà non è mai stato molto più grande dei loro ultimi modelli scintillanti appena comprati. E mentre piano piano i loro si sono rotti, alcuni caduti, alcuni bagnati, altri spenti per non riaccendersi più, il mio C25 ha continuato a funzionare, un minuto di conversazione dopo l'altro, un SMS dopo l'altro. E mentre uno dopo l'altro i loro sono finiti nell'immondizia qualche giorno fa ho caricato la batteria, ho tolto la SIM, e con cura lo ho riposto nella sua confezione, di quell'arancione così kich che solo una casa tedesca, con le sue istruzioni e il suo scontrino.

Dopo otto anni e mezzo lui ancora funziona, e si godrà la sua meritata pensione. Certo ogni tanto qualche tasto va premuto con forza, certo alcuni non si leggono più ed è vero che la batteria non dura più niente e la cover è tutta rigata ma si sa, ogni vecchio ha i suoi acciacchi.

Con oggi ci separiamo, caro amico, e le parole con cui ci salutiamo siano le prime che ho sentito su di te.



be inspired. !

mercoledì, novembre 07, 2007

Tempi moderni

Oggi nella mia posta elettronica:

nel caso ci fossero cambiamenti imprevisti pfv contattatemi immediatamente

grz
slt


Lievi scosse di terremoto registrate nel ravennate.

domenica, ottobre 28, 2007

MSN rende folli

v4ne554: vocabolario
ops: rione

v4ne554: netturbino
ops: noleggio

v4ne554: giogo
ops: golosone

v4ne554: nepotismo
ops: mo...
ops: mavaffanculo

v4ne554: ma che mo
v4ne554: è smo

ops: scusa
ops: smavaffanculo

v4ne554: smooooo
ops: smovaffanculo

v4ne554: lobotomizzato
ops: totalmente

v4ne554: teletrasporto
ops: totalitarismo
ops: smovaffanculo
ops: lobotomizzato

v4ne554: smottamento
ops: totalmente
ops: sono entrato in loop

v4ne554: smottamento
v4ne554: no

ops: terrorizzato

v4ne554: esci
ops: ok aspetta che mi vesto
v4ne554: nooo
v4ne554: esci dal loop
ops: veramente sono in camera
v4ne554: ...
v4ne554: uffa non si può giocare con te!

ops: posso postare questa conversazione sul blog??
v4ne554: maccerto!
ops: evvai!!

domenica, ottobre 21, 2007

Ombre.

OMBRE [om.bra] s.f. - [...] La figura che un corpo opaco proietta su una superficie e che ne riproduce, più o meno alterata, la forma [...]
Definizione da Giacomo Devoto e Giancarlo Oli, "Il dizionario della lingua italiana", Le Monnier

Ci sono cose che semplicemente ci rifiutiamo di accettare, no?

La verità è davanti ai nostri occhi, troppo abbagliante per poterla guardare, la sua voce così forte che premiamo le mani sulle orecchie per non sentirla, siamo come bambini accucciati a terra, seduti sui nostri talloni, e semplicemente fingiamo che la realtà sia quella che immaginiamo noi, neghiamo con forza e con rabbia tutto quello che non era previsto, tutto quanto non sia esattamente come noi avevamo immaginato.

Oggi è stata una bella giornata, di un freddo pungente e blu come il cielo limpido, di un freddo pungente e rosso come le foglie d'autunno che si fermano ai bordi della strada, di un freddo giallo come la mia moto e il sole che scalda le spalle mentre ti fermi a contemplare le valli e il mare. In una giornata come oggi l'unico problema è come impostare le curve, non rimanere troppo indietro, stare bene con tutti questi amici sconosciuti e scoppiare le bustine di zucchero da vero professionista.

Poi mi chiami tu, in quattro parole mi dici cose che non capisco, perché non riesco a trovare in senso in quello che mi hai detto, non riesco a trovare il senso di una telefonata così cattiva in una giornata così bella, non riesco a capire perché, davvero, perché ti sei disturbata a chiamarmi per schiaffeggiarmi? Bastano il tuo silenzio e la tua fretta per questo, fanno molto più male delle tue parole, te lo assicuro.

Sei così diversa. Sei così cambiata. E poi finalmente ho accettato di essere innamorato di un'ombra.

È questo quello che rimane di noi. Un'ombra che riproduce sul mio cuore, più o meno alterata dal tempo, la nostra felicità passata.

lunedì, ottobre 01, 2007

Coincidenze.

COINCIDENZA [co.in.ci.dèn.za] s.f. - Concorso di fatti o circostanze fortuite [...]
Definizione da Giacomo Devoto e Giancarlo Oli, "Il dizionario della lingua italiana", Le Monnier

Prendere la patente è stata un faticaccia. E vorrei sapere chi ha deciso che gli esami di riparazione non servono, perché io, forse un po' in ritardo sui tempi, sono stato promosso a settembre. Peccato ormai la stagione motociclistica sia agli sgoccioli: anche se il buon Dio ha voluto graziarmi con cielo sereno sereno, temperatura mite e traffico moderato durante il cimento, alla fine le nuvole hanno fatto capolino e ne è venuta giù un sacco e una sporta. Ovviamente è venuta giù anche sulla testa del sottoscritto. Stupidamente devo dire... ma con una improbabile sequenza di eventi che forse mi ha salvato la pelle.

Mercoledì pausa pranzo come al solito di fretta, mangio un boccone e prendo il casco per riportare Amarilla ai box visto che nonostante il sereno le previsioni promettono acqua. Arrivato davanti al cancello però... ho come l'impressione che sarà durissima mettere la bimba al riparo, a meno di non sfondare la grata a cascate: ho dimenticato le chiavi. Solo che ormai è tardi, non ho più tempo per ripassare da casa, così vado in ufficio su due ruote.

Alle sei (passate da un pezzo sia ben chiaro, qui si lavora non si cazzeggia!) si parte per l'aperitivo in centro. Moto, non moto, ma si vado in moto. Sbagliato. L'aperitivo tira per le lunghe, non vedo gli amici da un pezzo, si chiacchiera del più e del meno, finché ad un tratto non cade l'occhio su un paio di ombrelli che passano davanti alla porta, poi altri due, poi altri tre, poi un tuono... ma nooo... Fuori piove ma non troppo, nei dieci minuti fino a casa mi sono lavato più per l'acqua alzata dalle auto che per quella caduta dal cielo. Recuperate le famigerate chiavi infilo Amarilla nella tana e me ne vado ad asciugarmi.

Passa qualche giorno e sabato mattina mi prende la voglia pazza di unirmi, finalmente con un titolo legale che attesta il mio diritto di stare su strada a cavallo dei miei due cilindri, agli amici che vanno a girare in Francia. Lei non è della stessa idea. Parte bene, faccio una rampa, tossisce un po', si spegne. E non c'è verso, non tiene il minimo, si spegne. Quando mi accorgo che i tre piani di parcheggio interrato sono più affumicati di un pub irlandese il mercoledì sera desisto, alquanto incazzato, e me ne torno à la maison.

Ho passato un fine settimana di pessimo umore, probabilmente uno degli ultimi con un po' di sole e temperature miti, da neopatentato con la moto ferma. Probabilmente meglio che se la moto fosse partita e io fossi andato a girare, comunque, visto che gli amici in Francia hanno evitato per un soffio un furgone che si credeva una palla da bowling e li credeva birilli. Non posso far a meno di pensare che forse non avrei avuto la prontezza di aprire il gas invece che frenare, o forse non avrei frenato abbastanza, o forse...

Forse dovrei ringraziare Dio, la pioggia e Amarilla. Però poi la porto dal meccanico.

martedì, agosto 28, 2007

Hyperversum - Cecilia Randall

TITOLO: Hyperversum
AUTORE: Cecilia Randall
EDITORE: Giunti
ANNO: 2006
PAGINE: 720

Vi è mai capitato di comprare un libro e non sapete il perché? Ecco, io ero in coda alla cassa del supermercato e mentre aspettavo ho deciso che le offerte estive scontate del 30% potevano essere una buona occasione per leggere qualche cosa che non sia un blog o un forum, ogni tanto. Il favorevole rapporto fra spessore e prezzo, assieme all'enigmatica quarta di copertina ("La Terra si fermò in un punto preciso. È la storia, e non è più un gioco. Come uscire da Hyperversum?") hanno così attratto il Hyperversum verso il carrello della spesa.

L'impatto è stato mozzafiato, le prime pagine drammatiche. No, no, non preoccupatevi, pensavo di aver comprato un libro a cavallo fra fantasy e fantascienza, e non avevo sbagliato genere. Solo all'inizio sembrava di avere fra le mani la sceneggiatura di un B-movie anni '80: sei giovani americani vengono improvvisamente catapultati da un videogioco nella Francia del '200, tutti devono adattarsi loro malgrado alla nuova realtà tranne uno, che fin da principio dimostra tutte le qualità dell'eroe senza macchia e senza paura.

Abbastanza agghiacciante come prospettiva, o no?

Invece superato il primo impatto Hyperversum si è rivelato una lettura piacevole, che definirei da ombrellone, un romanzo non certo fantasy o fantascientifico, se non per l'espediente iniziale del viaggio nel tempo, anzi quasi un romanzo storico alla Ivanhoe. Non essendo esperto non posso esprimermi sull'accuratezza nella ricostruzione degli usi e costumi del tempo, ma da buon appassionato di fantasy ho apprezzato le succose descrizioni del mondo medioevale col quale devono fare i conti i protagonisti che fra scorci di vita quotidiana, tornei e matrimoni da favola vengono coinvolti nei giochi di potere nobiltà francese alla vigilia della battaglia di Bouvines (27 luglio 1214). Schieratisi inizialmente per necessità, svilupperanno presto legami quasi più forti di quelli che li legano al loro tempo, dando all'autrice modo di soffermarsi sui valori tipici della letteratura cavalleresca: virtù, fedeltà, amicizia, amore. La trama scorre abbastanza lineare, con pochi colpi di scena e piuttosto prevedibili, ma riesce comunque a mantenere un buon ritmo e un'ottima coerenza dalle prime alle ultime pagine, quasi fosse un film d'azione fra intrighi, duelli, inseguimenti e intrecci amorosi. Mi sono sorpreso più volte a pensare "solo un altro capitolo poi a letto". Non male visto l'esordio, peccato solo che la figura del protagonista sia davvero ingombrante e lasci poco spazio ai comprimari, che avrebbero meritato di essere tratteggiati in modo più completo e invece sembrano spesso andare a rimorchio delle azioni dell'eroe di turno.

Un altro punto a favore è la buona qualità dell'italiano, caratteristica che non do più tanto per scontata dopo le ultime letture: a favore di Cecilia Randall gioca senz'altro il fatto di essere italianissima, infatti dopo una rapida ricerca su Google ho scoperto che dietro questo pseudonimo si cela l'emiliana Cecilia Randazzo (avevo sospettato italiche origini già leggendo i rigraziamenti eh, ma poi mi son detto magari il traduttore è stato molto zelante), autrice non solo di Hyperversum ma di altre novelle e disegnatrice chiaramente influenzata dallo stile dei manga giapponesi.

Deludente invece l'epilogo, veramente poco originale, deciso scivolone che sembra cucinato ad hoc per aprire la strada ad un seguito, del quale al giorno d'oggi nessun autore sembra poter fare a meno... e infatti in giro per la rete ho trovato annunciata l'uscita del secondo volume.

Il giudizio finale è quello di un buon romanzo di cappa e spada, piacevole da leggere e avvincente il giusto. Ottimo per l'estate o per rilassarsi la sera, anche se credo che non comprerò il seguito. O magari lo comprerò l'estate prossima.

Per dovere di cronaca, questa intervista su KULT Underground smonta buona parte della mia recensione. Eh, che dire, non sono perfetto.

lunedì, agosto 20, 2007

Polvere di fris(t)elle

Frisella [fri.sèl.la] s.f. - Piccola forma di pane secco [...] che si consuma generalmente con pomodoro fresco, olio e sale, dopo averla fatta rinvenire in acqua.
Definizione da Giacomo Devoto e Giancarlo Oli, "Il dizionario della lingua italiana", Le Monnier

E così le ferie sono finite anche per me. Non ho nemmeno fatto in tempo ad accorgermi che fossero iniziate, in realtà.

Lo scorso fine settimana prove generali in Piemonte, per la prima volta in sella. Niente autostrade, niente statali, mi sono inerpicato su strade che sono quasi sentieri fra i boschi di Liguria e Piemonte. Scarsamente trafficate credo sia la definizione più adatta. Dopo un incipit sotto le nuvole del Turchino e la nebbia del Faiallo come un pellegrino medioevale ho avuto il sole a farmi compagnia sulle Langhe, ancora deserte alle 8 e mezza del mattino, che con le loro dolci curve mi hanno portato a destinazione. Totale: 4 ore di moto. Inizia bene. Quando sono arrivato i parentes avevano già imbandito la tavola con sugo di salsiccia e lo stufato con patate. Prosegue meglio. E poi nel pomeriggio ho fatto il bagnetto ad Amarilla che ne aveva davvero bisogno e una bella gita fino a Viola di cui avevo davvero bisogno io, dove con il Master ed altri amici ci siamo sparati un bel po' di stelle cadenti e di cazzate. Gran finale.

Lunedì mattina alle 5 am ritorno sotto l'acqua (regolare, avevo appena lavato la bestiola), divertendomi un po' meno (non è vero) e chiedendomi perché, perché mai sul colle di Cadibona le auto possono andare a 80 e i motociclisti solo a 60? Ma che senso ha? Ci volete far arrotare?

Martedì invece sono iniziate le ferie. Vorrei tributare un grazie a Trenitalia perché le cuccette della Freccia Adriatica sono probabilmente le stesse che portavano i nostri soldati al fronte durante la Grande Guerra, solo vanno in un'altra direzione. Ne è valsa la pena però, perché a Metaponto, dopo 13 ore di viaggio, sembrava di essere su una spiaggia della Polinesia, con tanto sole, sabbia finissima, un cielo azzurro intenso senza una nuvola e un mare pulito e bellissimo. E poca gente. La cucina di casa Compà e le granite fantastiche di Sant'Arcangelo, assieme alle mie dormite che in pochi giorni sono diventate leggendarie in tutto lo paese, hanno contribuito a restituirmi qualche goccia della serenità perduta. Sui kart ho fatto scorrere l'adrenalina ingarellandomi di brutto e i fuochi d'artificio di San Rocco mi hanno incantato come sempre, assieme alla bellezza delle ragazze del sud e alla dignità di quelle vecchine in nero sedute sui gradini, nei vicoli de lo paese, che guardano le nuvole e la gente chiassosa passare e pensano a chissà cosa con i loro occhi profondi come il mare.

Ho passato le mie ferie in una regione quasi deserta, dove tutti i giovani, più e meno coetanei, con i quali ho parlato sono stati costretti a emigrare per trovare un lavoro come "uomini liberi" da un sistema clientelare che strangola tutto, che si percepisce anche dal finestrino dell'auto negli scheletri di costruzioni mai finite, nelle immense cattedrali nel deserto che si incontrano di quando in quando, nelle insegne sbiadite di negozi un po' vuoti. Il paesaggio riarso dal sole, le colline argillose e l'erba gialla, la duna mediterranea, tutto sembra comunicare un atavico senso di stanchezza e di insofferenza, poi però senti questi ragazzi parlare e scopri che dietro la curva ci sono anche campi di grano e foreste di ulivi, animali al pascolo e il lago del Pertusillo, la pista di kart dove correre a rotta di collo e il lido Dom Pablo dove rilassarsi sotto gli ombrelloni di fascina, il cielo pieno di stelle e la voglia di fare e di spezzare le catene.

Il ritorno è stato tranquillo, in aereo. Sono due anni che non stacco dal lavoro per più di qualche giorno e comincio a essere stanco. La giornata in ufficio è stata mediamente orribile, ma nello zaino ho un pacco di friselle di Sant'Arcangelo, un po' frantumate dal viaggio.

Polvere di friselle, sarà magica?

domenica, luglio 08, 2007

Dirigere il traffico, la creazione, il concerto e poi... il mare!!

Ovvero ho avuto un fine settimana complicato.

Sabato mi aspettava la prima gita con un gruppo di centauri genovesi, tutti sconosciuti tranne uno, e già comincia male: per comprare gli stivali arrivo tardi all'appuntamento (mi sono vendicato lasciando le scarpe puzzolenti in custodia al negozio), poi devo fermarmi per un bancomat, e ancora per fare benzina. Prima di cominciare già mi sentivo di peso, e poco dopo aver cominciato ero dietro dei chilometri.

E meno male! Sono tutto concentrato sulle mie solite curve da tartaruga quando improvvisamente vedo il Cyber sul bordo della strada che mi fa segno di rallentare e accostare. In mezzo alla corsia, subito dopo la curva, c'è una macchina ferma e una moto gialla per terra. Uno dei nostri, vivo per miracolo. Non ho capito bene la dinamica dell'incidente, morale moto distrutta, lui all'ospedale con qualche graffio, noi per un'ora e mezza sotto il sole a far rallentare le macchine e dirigere un senso unico alternato in fiduciosa attesa dei vigili urbani per i rilievi del caso.

Purtroppo l'attesa fiduciosa è stata invano, perché i vigili non sono mai arrivati. Ma che vi paghiamo a fare?

Solo in tre temerari abbiamo proseguito verso la val Fontanabuona, la Scoglina e la trattoria promessa. Mentre guardavo i paesi, le nuvole e gli alberi sfrecciare accanto a me mi è venuto in mente che Dio, quando il terzo giorno ha separato la terra dalle acque, quando con le sue mani ha plasmato la Liguria doveva essere al colmo dell'ispirazione. E probabilmente cavalcava una moto. Curve bellissime e paesaggi mozzafiato, immersi nel verde a picco sull'Aveto, tornanti stretti che mi hanno messo in seria difficoltà ma ne è valsa la pena. Ad aspettarci torta di cipolle, ravioli al ragù, costine di agnello con patate al forno!! e un venticello fresco fresco per rimetterci dalla sudata e odore di erba appena falciata. Al ritorno, immagino grazie alla zavorra caricata a tavola, ho preso un po' più di confidenza e mi sono divertito parecchio, anche se i soliti dritti erano in agguato. Vorrei quindi ringraziare il mio buon senso (applausi al buon senso, grazie) e la manetta ben chiusa, che appena metto piede al freno sono fermo.

Siamo tornati passando per Uscio e la tavianea che è la mia strada preferita, perché quando vedo Genova da lassù, è una vista da mozzare il fiato.

Arrivato esausto e come al solito felice delle giornata e delle nuove amicizie. Son passato a recuperare le scarpe, nel mentre mi chiama una di quelle persone a cui non puoi proprio dire di no e allora via di aperitivo. In realtà la priorità era la doccia, ma quando mi ricapita più che mi chiami? TU? Non voglio sapere quanto puzzavo, pensare che erano anni che non ci incontravamo. Mmm... speriamo non te ne sia accorta. Beh magari te lo sei anche meritata, eh, per avermi chiesto se quando sono in sella tocco per terra...

Poi naturalmente in serata concerto dei Buio Pesto. Dopo la doccia. Ogni estate un rito. Risate da lacrime agli occhi. E probabilmente un giorno in settimana mi infilerò su da Montoggio perché anche quella strada promette bene.

E oggi... mare!! Finalmente!! Non prima però di aver messo all'aria la camera nel tentativo di non farmi crollare in testa la libreria dell'IKEA che cominciava a scricchiolare troppo... del tipo che i fermi della vetrinetta stavano uscendo dalle guide! Maledetti svedesi assassini! Meno male che quando spolvero sono pignolo (sindrome della casalinga - stadio finale) e spolvero anche i montanti! Incidentalmente, quest'anno non ho ancora trovato il mare decente una volta che sia una. Aiuto. Per un'estate che ho voglia di andare (in realtà solo perché ho smaltito dieci chili di pancetta superflua).

A proposito, non contento esco per un gelatino. Domani Transformers al cinema!

Più stanco alla fine del fine settimana che all'inzio. Sob.

mercoledì, giugno 27, 2007

Mototerapia.

MOTOTERAPIA [mo.to.te.ra.pì.a] s.f. - Uso di un motociclo finalizzato non al raggiungimento di una destinazione materiale quanto al conseguimento di uno stato di benessere spirituale.
Definizione di Ops! tratta da diabolicum.blogspot.com

Tambu parla qui di mototerapia e nonostante il post sia vecchio di tre anni riflette alla perfezione il mio stato d'animo di questi giorni. Lui ha scritto:
Oggi mi sbilancio alla grande: non sono solo contento... io oggi sono felice!!!
Io non posso che essere d'accordo. Nelle ultime settimane ogni volta che sono uscito con Amarilla è stato così: lei e la provinciale 67 sono diventate il mio rifugio dal groviglio di negatività che permea la maggior parte delle mie giornate. La differenza fra quando sono in sella e quando sto seduto alla scrivania è così marcata ed evidente che mi viene il sospetto di essere pazzo. Non so spiegare perché, un po' delle sensazioni che provo le ho raccontate da queste parti. Potrebbe essere l'estrema concentrazione che sgombera la mente dagli altri pensieri, la percezione di pericolo imminente che stimola il rilascio di adrenalina nel sangue, potrebbe essere quella pazza idea di poter toccare con un dito tutto ciò che mi circonda, o magari l'amalgama di profumi che mi investono quando alzo la visiera, potrebbero essere le vibrazioni del bicilindrico o il suo ruggito che riempie l'aria...

Non so spiegare perché ma sempre più spesso quando torno a casa, complici le lunghe giornate di giugno, saluto i miei, li consiglio caldamente di non aspettarmi per cena, prendo il casco ed esco. Non decido mai dove andare, seguo la strada, torno quando torno. Sempre troppo presto, sempre troppo tardi.

Spento il motore, mentre chiudo la saracinesca del box non penso più a scartoffie, scadenze, obiettivi. Sotto il casco allacciato stretto sorrido. Mi sbilancio alla grande: mentre chiudo la saracinesca del box, spento il motore, non sono solo contento... sono felice!!!

venerdì, giugno 15, 2007

Viaggio.

VIAGGIO [viàg.gio] s.m. - [...] 2. Giro attraverso luoghi o paesi diversi dal proprio, con soste e permanenze più o meno lunghe, allo scopo di conoscere, istruirsi, sviluppare o consolidare rapporti, divertirsi [...]
Definizione da Giacomo Devoto e Giancarlo Oli, "Il dizionario della lingua italiana", Le Monnier

Questa sera ho lasciato l'ufficio con il solito carico di dubbi, tensioni e quant'altro. Mi succede continuamente da quando ho cambiato lavoro e negli ultimi giorni sta anche peggiorando, tanto che devo costringermi ad alzarmi dalla scrivania perché altrimenti rimarrei lì giorno e notte in preda alla paranoia.

Sono uscito con soli trentacinque minuti di ritardo, per quanto i segni delle mie unghie che tentavano disperatamente di aggrapparsi alle suppellettili rimangano a imperitura memoria della mia lotta interiore. Passo dopo passo, ancora immerso nei miei pensieri, ho trovato il tempo di guardare il cielo e scoprire che, mentre lottavo con le mie ansie e le mie scartoffie, fuori le nuvole si erano diradate e il sole faceva timidamente capolino. Così sono stato colto da una folle idea.

Si, le sette sono probabilmente il momento in cui il traffico è più congestionato e la gente ha più voglia di tornare a casa. Ma dopotutto, chissenefrega.

Amarilla si è spenta 4 volte sulla prima rampa del box e ha saltellato come una puledra imbizzarrita sulla seconda, alla fine ho realizzato che probabilmente chiudo l'aria prima che il motore sia abbastanza caldo ma intanto le rampe erano finite.

La città all'ora di punta è popolata da quelli che non vedono l'ora di arrivare. È un luogo pericoloso, soprattutto per uno che vorrebbe semplicemente bighellonare un po'. Non c'è spazio per le incertezze o per cambiare idea, devi avere un obiettivo e giocare senza regole se lo vuoi raggiungere per cena. Io, goffo e imprevedibile come lo può essere solo un principiante, mi sentivo mal sopportato e decisamente fuori posto. Dopo pochi minuti la voglia di stare in sella già latitava, stavo accumulando una razione supplementare e gratuita di stress, ed un pur sempre forte attaccamento alla vita mi suggeriva di riguadagnare la via di casa.

Cercavo di evitare il traffico più congestionato e non credevo che avrei trovato tutti quei ricordi ad aspettarmi lungo la strada. Invece di svoltare ho proseguito verso l'entroterra. Piano piano mi sono lasciato il traffico alle spalle, poi l'ultima fermata dell'autobus, poi è cominciato un odore fortissimo di miele che veniva dalle acacie in fiore. Niente più palazzi ma solo villette a due piani circondate da giardini, le insegne delle osterie, la chiesa di campagna. Il cielo si rabbuia un po' ma ho ancora almeno un'oretta di luce a disposizione. Vado piano, proprio piano, provo a bilanciarmi e a spostare il peso per vedere come reagisce Amarilla, provo a scalare prima delle curve, provo a mandarla su di giri nei rettilinei, e mano a mano che mi sembra di capire come portare questi quasi duecento chili d'acciaio accelero un po' di più, freno un po' di più, piego un po' di più. Nonostante i miei sensi siano concentrati sulle sensazioni che mi trasmette lei non posso non farmi avvolgere da tutta questa natura. In sella percepisci subito gli odori, i colori, gli sbalzi di temperatura fra l'ombra e il sole, non c'è nulla che ti separi dal mondo e non guardi il paesaggio, come dal finestrino di un'auto, sei parte di esso. Non penso più a nulla.

Era da dieci anni, quando fresco di patente scarrozzavo in giro la panda carica di amici, che non facevo più un giro per il gusto di fare un giro. Sarà che siamo grandi e non abbiamo più tempo, sarà che con quegli amici non è che ci frequentiamo più tanto, saranno un sacco di cose ma oggi non posso che essere d'accordo con quelli che dicono che la cosa veramente importante non è la destinazione, ma il viaggio.

Alle ultime luci del crepuscolo sono tornato a casa sorridente e soddisfatto.

Però. Mi chiedo se valga la pena di essere così tutti i giorni, e per cosa poi, per la proiezione mentale di una felicità futura che non è assicurata da nessuna parte, per la carriera che chissà fin dove arriverò, per i soldi che una moto pagata due lire mi basta e mi avanza, per soddisfare il mio ego bastardo che probabilmente è più grande delle mie capacità. Voglio smettere. Qualcuno ha un cerotto?

lunedì, giugno 04, 2007

Felicità!

FELICITÀ [fe.li.ci.tà] s.f. - La compiuta esperienza di ogni appagamento [...] * concr. Avvenimento o stato conforme ai desideri [...]
Definizione da Giacomo Devoto e Giancarlo Oli, "Il dizionario della lingua italiana", Le Monnier

Sono d'accordo, la definizione non è illuminante. Il mio cuore di oggi è come il cuore di un bambino mentre scarta i pacchetti sotto l'albero e capisce che dentro quello che ha in mano c'è proprio il regalo che aspetta. Un regalo a lungo desiderato, di quelli che si schiaccia la faccia contro le vetrine per sbirciarli meglio, di quelli che quando passa la pubblicità in TV si sprecano i sospiri, di quelli che prima ancora di averli in mano si sa già come funzionano, di quelli che tutti gli altri lo hanno già ma lui lo voleva a tutti costi e finalmente eccolo lì, lo guarda con i suoi occhioni azzurri pieni di meraviglia e se lo rigira fra le mani, lo tiene alto sopra la testa quasi in controluce per osservarlo meglio e anche se non vede l'ora di giocarci lo fa vedere a mamma e papà e sa già che se ne vanterà con tutti perché non è che sia più bello o grande o potente degli altri, però finalmente è suo.

Questo mio regalo lo sto cercando dal giorno del mio compleanno. Ho valutato diverse opzioni, girato un sacco di posti, ascoltato troppi consigli. Ma più cercavo di andare a fondo nella questione più mi scoraggiavo e pensavo che anche questa volta avrei dovuto rimandare, che dopotutto non ne ho bisogno, è solo uno sfizio. Ho provato a ripiegare su qualcosa di poco costoso ma non era quello che volevo trovare sotto l'albero. E proprio quando stavo per desistere finalmente eccola quasi nascosta in mezzo a tante altre, la ho notata quasi per caso e ho subito deciso che sarebbe stata mia, è inutile, è stato amore a prima vista. Ho dovuto aspettare che la rimettessero in sesto e intanto schiacciavo la faccia sulla vetrina per riuscirla a intravedere. Fare tutti i documenti per portarla a casa non è stato facile, visto che ormai vivo in ufficio e il mio ufficio fa gli stessi orari di tutti gli altri. Con tutta quella carta sarebbe di certo uscito un bel pacchetto.

Finalmente oggi sono andato a prenderla. Suzuki SV 650. Gialla. Nata di luglio di un po' di anni fa. Sono il terzo proprietario ma non mi importa, perché è il frutto dalla mia fatica di questi mesi. Il motore ha un suono bello pieno, le vibrazioni che trasmette sono fantastiche, l'aria sulla faccia è meravigliosa! Avrei voluto portarla fino a casa ma ancora in mezzo al traffico non mi sento sicuro, però appena siamo arrivati ho spodestato il mio chauffeur e via!

La divisa non era certo quella del centauro, con quel casco ridicolo in testa, di una misura più piccolo, che mi hanno prestato perché ancora non sono riuscito a comprarne uno mio, per lo stesso motivo che anche i negozi fanno l'orario del mio ufficio. O meglio sono io che faccio gli orari di tutti gli altri. Sommati. Comunque il casco mi faceva anche male. Però non mi importava.

Provo a partire, spengo il motore. Allora riprovo, pedale in giù e metto la prima, lascio leggermente la leva sinistra e appena sento che la frizione attacca accelero leggermente. Troppo poco leggermente. La moto salta in avanti, si spegne e quasi cado. Provo a tornare indietro dieci metri ma è tanto pesante da spingere che quasi vado addosso a una tizia parcheggiata dentro una Fox bianca che ha subodorato qualcosa e mi osserva con gli occhi spalancati per il terrore. Intanto l'amico mio filma col cellulare. Immagino le risate quando lo vedranno gli altri.

Alla fine riesco a staccare i piedi da terra e dopo qualche altro tentativo li metto anche sui pedali. Al che, visto che ci sono, azzardo una seconda ma metto in folle. La moto si ferma lentamente. Scendo canticchiando la musichetta del game over. Sono stanco e felice, con le scarpe buone già segnate dal cambio dopo nemmeno mezz'ora. Strano ma vero, non me ne frega niente. Ho le gambe a pezzi un po' per l'emozione un po' per il tanto spingere avanti e indietro per questi 50 metri di via ma dentro di me ancora saltello dalla gioia. Porto Amarilla nel box, me la ammiro ancora per mezz'oretta alla luce del neon e finalmente torno a casa, dove naturalmente ne decanto le lodi a tutta la famiglia per tutta la sera.

Amarilla ovviamente è la mia bambina. In realtà ha un altro nome, però ho pensato che siccome io scrivo sotto pseudonimo sarebbe stato bello trovarne uno anche a lei. E da oggi i protagonisti del blog sono diventati due.


giovedì, maggio 24, 2007

Conforto.

CONFORTO [con.fòr.to] s.m. - [...] Incoraggiamento, incitamento [...]
Definizione da Giacomo Devoto e Giancarlo Oli, "Il dizionario della lingua italiana", Le Monnier

Esistono molti modi di affrontare la vita, e credo che la maggior parte di noi si adatti a seconda delle vicissitudini a prenderla nel modo che porta la maggior felicità o il minor dolore, in un continuo slalom gigante cercando di farsi meno male possibile. Io, per la maggior parte del tempo, sono un tipo competitivo. Mi piace fare bene le cose, non solo farle bene, farle meglio degli altri. Sarà forse perché voglio sentirmi dire che sono intelligente, preciso, competente. Sarà perché mi compiaccio del lavoro ben fatto, e quando ho finito passo sempre un po' di tempo a contemplarlo. Sarà perché voglio credere che se vengo pagato più di altri, un motivo c'è. Il problema dei tipi competitivi come me, è che quando sbattono contro una porta nello slalom della vita, si fanno più male degli altri.

Ieri mi hanno consegnato gli obiettivi di fatturato. Li ho fissati a lungo, strabuzzando un po' gli occhi. La filiale non sta andando bene e nemmeno io, dopo due settimane il mio contributo è ancora zero. Loro non lo sanno che ci sono volute due settimane a creare sulla scrivania lo spazio per appoggiare la tastiera. Ho alzato la testa da quel foglio, contemplando per un attimo i miei colleghi, e pensando ai miei rimanenti 53 giorni di prova. Chi mi ha voluto qui si aspetta molto da me. Ed eccola, piano piano, lenta ma inesorabile è arrivata. La percepisci perché i battiti del cuore aumentano, improvvisamente diventa caldo, il colletto ti stringe e non capisci più tanto bene che cosa ti stanno dicendo. Sudi un po', i pensieri si annebbiano e si mescolano tutti e il tuo orizzonte temporale si restringe ai prossimi cinque minuti. Sai che devi fare qualcosa, subito, ma non sai cosa. Eccola, l'ansia. Il mio cervello ha fatto tilt.

Sono tornato a casa con la voglia di scappare. Ho già avuto la brutta esperienza di vedere una persona uscire dall'ufficio in lacrime dopo che le avevano comunicato il mancato superamento del periodo di prova. La situazione era diversa, le ragioni di fondo anche, però non ho potuto fare a meno di ripensarci ancora e ancora, incessantemente. Potrei essere io in uno qualsiasi dei prossimi 53 giorni.

Poi mi è arrivato un SMS. Il messaggio lo ho cancellato, ma più meno diceva hai avuto una giornata pesante, non ti preoccupare degli obiettivi, vedrai che assieme li raggiungeremo.

Ho avuto la fortuna di incontrare spesso colleghi competenti. Sulle persone con cui lavoro adesso non posso ancora dare giudizi, una cosa però la ho capita. Ho letto, da qualche parte, qualcuno che suggeriva di fotocopiare il palmo della propria mano e di usarlo per darsi una pacca sulla spalla ogni tanto, in ufficio. Ecco io credo, e spero di non sbagliare, che di questo non avrò bisogno.

lunedì, maggio 21, 2007

Dolceamaro.

DOLCEAMARO [dol.ce.a.mà.ro] agg. - Che provoca sensazioni o emozioni opposte. [Comp. di dolce e amaro].
Definizione da Giacomo Devoto e Giancarlo Oli, "Il dizionario della lingua italiana", Le Monnier

Stasera è in tutto e per tutto una serata dolceamara.

Una serata dolce, trascorsa a parlare del più e del meno, sorseggiando un buon drink seduti sotto un pergolato fresco, mentre il sole tramonta dolcemente a ponente, dietro la città. Uno scherzo, finalmente dopo tanto tempo sono riuscito io a pagare il conto senza che tu ti accorgessi di nulla, ma in questi mesi ho avuto un buon maestro. I soliti vecchi problemi, i soliti locali chiusi il lunedì, dove andiamo stasera? volevo portarti in un posto nuovo poi, come al solito, si ripiega al cinese perché è un mucchio di tempo che non ci andiamo più. Il cameriere che non ha perso l'abitudine, da un anno a questa parte, di cercare in ogni modo di venderti qualche piatto di più con la grinta del rappresentante del Folletto; gradite uno spumantino, un contorno, un sorbetto al limone? con quell'esotico accento cinese che suscita in me ilarità e in te irritazione. Non so se hai notato che questa sera ho parcheggiato in divieto di sosta senza pensarci due volte, faccio progressi piano piano, non trovi? La tua macchina perennemente ammaccata, prima o poi lo sai che quella portiera ti rimarrà in mano, ma a guidarla mi sembra di non averti persa mai. Quando ti ho vista lì ad aspettarmi fuori dall'ufficio, io perennemente in ritardo, ma questa volta non è proprio colpa mia, ho pensato che sei sempre la più bella che uno come me potesse avere.

Eppure è una serata amara. Amara perché mi accorgo come in questi mesi tu sia cambiata, come ci siamo incamminati per opposte destinazioni, e forse hai avuto ragione a lasciarmi, forse prima o poi sarebbe successo lo stesso e forse, forse siamo davvero così diversi come dici, però... ti ho detto stasera che non importa quanto io mi butti capofitto nel lavoro, non importa se esco e guardo le altre, non importa se ora che sono tornato le giornate sono calde e terse perché non è la quantità dei miei pensieri di te, ma il modo in cui ti penso che mi lacera come il vento d'inverno ed entra dappertutto e non c'è un posto caldo dove fermarsi e scaldarsi un po' e mi fa venire voglia di urlare ma so che non servirebbe, e non pensare, non pensare davvero che tu con un gesto possa aver chiuso in quella piccola scatola azzurra quello che c'è stato fra noi. Non ho avuto il coraggio di aprirla, fingerò che sia vuota, mi illuderò come un pazzo che sia stato uno scherzo e tanto so che non dovrei ma ti aspetterò come ti ho aspettata per tutti questi anni.
Although I've traveled far
I always hold a place for you in my heart
If you think of me If you miss me once in awhile
Then I'll return to you
I'll return and fill that space in your heart

Buonanotte amore mio.

giovedì, maggio 03, 2007

Dimissioni.

Qualche giorno fa cadeva il mio compleanno. Non si è fatto male, ma il momento si è rivelato propizio per dare le dimissioni. Una lettera pulita, concisa. Un taglio netto ma senza lasciare malumori, quindi ho voluto usare una certa cortesia.
"Colgo l'occasione per ringraziarVi della fiducia concessami e dell'importante occasione di crescita professionale rappresentata da questi mesi di collaborazione."
All'inizio pensavo che fosse ipocrita ringraziare un'azienda dalla quale sto scappando a gambe levate. Però fermandomi a riflettere ho capito che qualche ringraziamento lo devo davvero.

Da una parte, è innegabile, sono stato praticamente abbandonato in balìa di me stesso: un progetto da completare, mezzi inadeguati, infrastrutture inadeguate, personale (il sottoscritto) inadeguato a ricoprire un ruolo che mi era sconosciuto almeno per la metà di quello che ci si aspettava da me.

L'iniziale entusiasmo, avevo finalmente messo fine al circolo vizioso degli stage, nel volgere di poche settimane si è trasformato in sconforto e voglia di mollare tutto.

Dall'altra sono contento di aver tenuto duro e, se devo trarre un bilancio, non mi sento di buttare via nulla (o quasi). Alla fine anche se il progetto che mi era stato assegnato è ancora in alto mare, ho imparato alcune cose.

Organizzare il tempo e le priorità. Un po' di faccia tosta. Scovare informazioni che nessuno sembra volerti dare. Aggirare i paletti. Un pizzico di insistenza. Capire la gente di un posto dove non sono nato. Sorridere un po' di più. Grinta quanto basta. Cucinare, perché no? Lo ho fatto tutte le sere.

Ho accumulato esperienza in una posizione che, bene o male, implica una buona dose di autonomia e responsabilità. La mia professionalità ha mosso un deciso passo avanti, il mio curriculum è cresciuto diventando appetibile per altre aziende e grazie a ciò fra pochi giorni tornerò a casa.

A proposito, c'è anche qualcosa che non mi mancherà. Ad esempio quel millepiedi bianchiccio che è appena sfrecciato alla base del muro. Scusate, il dovere mi chiama.

venerdì, aprile 27, 2007

Scelta.

Per un attimo ho avuto la tentazione. Avrei potuto lanciare 50 centesimi e giocare i prossimi due anni della mia vita a testa o croce, delegando la scelta alla forza di gravità, alla composizione chimica della moneta, al momento impresso dal mio pollice nell'atto del lancio, ad altri fattori minori tutti più o meno indipendenti dalla mia volontà. Sarei stato al sicuro, completamente deresponsabilizzato e privo di colpe nei confronti del me stesso che fra qualche mese mi maledirà per aver preso la decisione sbagliata.

Invece ho voluto prendere una decisione con coscienza. Non è vero. Solo ero sicuro che mi sarei maledetto lo stesso per aver tirato la monetina.

Due offerte di lavoro, simili sotto molti aspetti, diverse sotto altri. Una talmente sotto casa che se andassi in ufficio in pigiama se ne accorgerebbero solo i gatti in giardino. Una di nuovo lontano da qui, dalla mia città, dai soliti amici, nella stessa provincia dove ho passato l'inverno a singhiozzare.

Due aziende multinazionali, stesso settore, posizioni simili.

Un contratto di sei mesi, da trasformare alla scadenza in tempo indeterminato, e uno a tempo indeterminato da subito. Soldi... abbastanza in entrambi i casi. Molto meglio di adesso, comunque, in entrambi i casi.

Due sensazioni diverse durante i colloqui. Un'azienda giovane, entusiasta, che valorizza le proprie risorse, le stimola e le fa crescere. Con un piano di marketing e sviluppo commerciale attraente anche per uno che, beh, il commerciale non è la sua vita. L'altra azienda... non diversa da molte nel settore, seria ma meno dinamica. Entrambe solide.

Se le sedi operative fossero state invertite non avrei avuto dubbi, invece ne ho avuti tanti. Ho scelto alla fine, ascoltando opinioni e resistendo alla tentazione di chiedere a qualcuno "Se tu fossi me che cosa faresti?". Ho valutato, ascoltato Guccini e scelto. Più che una decisione presa con coscienza è stata una scommessa al 50%. Chissà.

Ora non si torna indietro, e mi sento come se mi avesse centrato il pendolino. Fiato corto e tante incertezze.

Ho scelto quella vicina. Fine del precariato. Qui inizia Ops!.