lunedì, ottobre 20, 2008

Una misura del tempo che passa

Non so perché, questa sera mi è tornato in mente Cowboy Bebop.

Anche se non posso definirmi un accanito fan dell'animazione giapponese, quel po' di animo nerd che mi trascino dietro fin dall'adolescenza adora Spike, Jet, Faye, Ein, Ed.

Qualche attento lettore del blog, fra l'altro, potrebbe essersene già accorto alcuni post fa (sempre che ci siano attenti lettori di questo blog... sigh).

Così questa sera ci siamo messi a parlare di loro, rievocando questo o quell'episodio, io come al solito ho fatto un salto su WikipediA per raccogliere informazioni e scoprire qualche retroscena, un salto su Youtube per vedere qualche AMV ben fatto e ascoltare la colonna sonora di Yoko Kanno e dei The Seatbelts.

Ed ecco che sulle note di Blue, la bellissima canzone che chiude l'ultimo episodio della serie, mi cade l'occhio sulla data in cui Cowboy Bebop passò per la prima volta sui nostri schermi.

Signori era il 1999. Così mentre Spyke si erge ancora una volta su quella scalinata, immerso nella luce, in una scena dai colori volutamente sovraesposti, ancora una volta io mi lascio andare a quella sensazione agrodolce che mi trasmette il tempo che passa. Le videocassette su cui avevo registrato tutta la serie, le etichette stampate con quella vecchia stampante che non ho più. Erano gli anni di Dawson's Creek? Credo di si (anzi si, anche Dawson's Creek è del 1999) anche se quello non lo registravo per me, ma per qualcun altro. Ah l'amour. Un'altra cosa che va e viene.

Tanto per rinfrescarvi la memoria, Final Fantasy VII è uscito nel 1997. Ricordo che ci giocavo in salotto, incollato alla Playstation invece che sui libri per preparare la maturità. E si, in quel caso arrivavo con qualche anno di ritardo, perché la mia maturità era nel 1999.

Ahah. Le botte che ci tiravamo con mio fratello a Tekken 3, come dimenticarle.

Sono passati 9, 10 anni. In tutto questo tempo non c'è niente che sia rimasto lo stesso. In 10 anni quante persone sono entrate nella mia vita e la hanno lasciata. Alcune hanno fatto in tempo persino a rientrare di nuovo.

Ogni tanto mi trovo a pensare che questo tempo per me è passato troppo velocemente, o è stato vissuto troppo poco e che insomma, è triste, ma non tornerà. Ed ora in questo ruolo di adulto responsabile a volte mi rigiro compiaciuto e a volte non mi trovo, non lo voglio e non è mio, però è quello che indosso sempre, un cappotto per tutte le stagioni.

A proposito. Il Signore degli Anelli, il film intendo, è del 2001. Sono passati 7 anni. Quando ho saputo per la prima volta che lo stavano girando ero a Woodmere, New York, ed era il settembre 1999. Da quando mi sono scese le lacrime lungo le guance alla fine della proiezione de Il ritorno del Re (2003) sono passati 5 anni. Mi sembra ieri.

Come al solito oscillo fra un genuino buon umore e la mia pigrizia un po' malinconica. Alcune cose fatte e tante da fare. Sicuramente sono arrivato abbastanza in là, forse non tanto quanto il mio ego mi facesse sperare per un me vent'ottenne, ma tant'è. Mi sono un po' mancati i colpi di testa, le follie, la capacità di lasciarmi andare e ho sempre avuto, dentro o vicino a me, qualche cosa che mi ha frenato. E se avessi un soldino per ogni volta che mi sono detto "Ah si, ma da oggi si cambia!" allora sarei ricco.

Ed è inutile che adesso dica che cambierò, perché non lo farò, ma continuerò a sperare di riuscirci.

Alla fine di questo post non c'è una conclusione. Mi andava di scrivere e ho scritto, però visto che i finali ad effetto mi sono sempre piaciuti. Ecco.

Please
Don't wake me from the dream
It's really everything it seemed
I'm so free
No black and white in the blue

domenica, agosto 17, 2008

The longest journey, pt.1 [departure]

PROLOGO: Ops è partito. Un viaggio di lavoro di quindici giorni, cinque paesi diversi e due Americhe. E siccome Ops è italiano ma quando può non vola Alitalia, anche questa volta si trova a far scalo nella teutonica Monaco.

I FATTI: Io e l'aeroporto di Monaco non abbiamo un buon rapporto. L'aeroporto di Monaco a prima vista è nuovo e scintillante, razionale ed ordinato come dovrebbe essere ogni aeroporto tedesco. Infonde un falso senso di sicurezza, poiché, naturalmente, in siffatto aeroporto tedesco nulla dovrebbe accadere fuori programma. E quindi ogni volta mi dirigo con passo sicuro verso l'imbarco, controllo l'orario, sono in anticipo, estraggo con disinvoltura il laptop e mi tuffo in un oceano di email. Di quando in quando getto uno sguardo fugace oltre lo schermo, così, per assicurarmi che il mondo sia dove lo avevo lasciato. Ma piano piano, un'occhiata dopo l'altra, quasi in punta di piedi, si fa strada in me la consapevolezza che è successo di nuovo. Qui ci sono solo io.

Sarà che io sono una amante infedele, un mercenario del biglietto aereo al prezzo migliore, però voglio dire, signor aeroporto di Monaco, di qui ci passo spesso, potrebbe anche trattarmi un po' meglio, ecco insomma, potrebbe anche impegnarsi!

L'aeroporto di Monaco ha una densità di schermi per metro quadro da fare invidia a Times Square. L'ignaro passeggero, ormai conscio di essere in attesa al gate sbagliato, cerca conforto in questi moderni oracoli per capire dove volgere i suoi passi. Ma gli oracoli, si sa, sono personaggi caratteriali. Il mio sguardo incontra gru pronte a spiccare il volo, volti sorridenti di bionde hostess, lucenti aviogetti che si stagliano contro cieli blu. Tutti segni propizi e benaugurali per il viaggio a venire, sono d'accordo, ma ora il problema è trovarlo, quel maledetto aereo.

Il mio passo si affretta sempre più, i minuti scorrono, sento le prime gocce di sudore scendere sulla fronte. Dopo aver percorso a ritroso diverse centinaia di metri dal gate 38 fino al controllo di sicurezza, trafelato, esausto, eccolo, come un miraggio, il tabellone dei voli in partenza. San Paolo San Paolo San Paolo dove sei... ah ecco... Sao Paulo 9.45 gate, gate, gate... 41?!?

Signor aeroporto di Monaco, io sono un viaggiatore mite e civile, ma questa volta mi permetta, ha proprio superato il limite. Questa volta mi permetta, davvero, non senza un briciolo di soddisfazione, di accommiatarmi con un gesto di chiara stizza, citando peraltro Masini.

LESSONS LEARNED: Mai abbassare la guardia all'aeroporto di Monaco.

domenica, agosto 03, 2008

Toys in the attic

PROLOGO: Ops non è andato in ferie. Da diversi anni ormai apprezza la città in agosto, strana e deserta... quando rimangono solo pochi testimoni di innumerevoli prodigi... niente più coda alle poste, l'ipercoop è deserta, sull'autobus c'è posto a sedere... sanno che non saranno creduti quando racconteranno ad amici e parenti, con l'aria sognante e una scintilla di follia negli occhi, che davvero, per una settimana, hanno trovato parcheggio in centro, proprio in centro si!, proprio davanti all'ufficio.

I FATTI: Sono solo a casa. Il resto della famiglia si è volatilizzato per sfuggire al caldo afoso di questa città. Vivo in uno strano limbo fra aperitivi e cene fuori, ma non posso nascondere a me stesso la verità.

Si. Non ho voglia di fare la spesa cucinare fare il bucato stirare passare l'aspirapolvere bagnare le piante e quant'altro.

Sono pigro. Ripeto come un mantra domani faccio tutto ma è un mantra fallimentare. Non funziona e basta.

La polvere in fondo non è un problema. Fondamentalmente è pigra almeno quanto me. Quando passo si solleva, ma poi torna al suo posto e non si muove più. La biancheria da lavare, fino a quando nel cassetto ci sarà un paio di mutande pulite, non sarà un problema. Dopodiché andrò da Intimissimi e ne comprerò di nuova, già lavata. Le camicie da stirare sono riottose, per cui mi vesto esclusivamente di polo, con l'unico problema che le polo nuove costano troppo, per cui dovrò cedere a questo ignobile ricatto delle leggi di mercato e, in extremis, stirare quelle che ho lavato. La spesa non è un problema finché ho qualche chilo di troppo. Assorbo l'acqua direttamente dal boccione in ufficio.

La mia preoccupazione, crescente, è il frigorifero. Strani rumori. Da quando mio fratello è partito non lo più aperto, non ho idea di cosa contenga. Qualsiasi cosa lì dentro dovrebbe essere morta. Quindi non produrre rumori. Credo che fingere di ignorare questo problema non sia stata la scelta giusta fin dall'inizio. Avrei dovuto procedere con cura coscienziosa all'eliminazione prima delle insalate, poi della frutta fresca, per passare in rapida sequenza alle uova ed infine ai formaggi. I sottaceti sono alleati fedeli che non ti tradiscono mai.

Ormai è tardi, lo sento di nuovo. È il richiamo della muffa, che circuisce inesorabile prima i pomodori, poi il finocchio e la verza, plagia i formaggi e, senza pudore, corrompe il salame e il prosciutto.

Alla fine dovrò aprirlo. Affronterò il nemico con coraggio, fermezza e piglio severo. E bicarbonato. Debellerò la muffa e caccerò i collaborazionisti. Sarà un new deal. Una nuova era di felicità e cibi freschi, dove le zucchine danzeranno con il petto di pollo, ammiccando felici alla cipolla. Il finocchio in disparte, timido, osserverà il cardo flirtare con le uova. Saremmo una grande famiglia, riuniti a tavola ogni sera!

Certo. Ormai ho deciso e niente mi farà cambiare idea. Domani faccio tutto!

LESSONS LEARNED: Imponete a vostro fratello di svuotare il frigorifero prima di partire.

domenica, marzo 09, 2008

È un ascensore o cosa?

PROLOGO: Nemmeno un anno è passato da quando Ops è stato assunto dalla società in cui lavora attualmente, ma il nostro è irrequieto e poco soddisfatto, perennemente stanco e a tratti oltremodo stressato. Anche se con meno convinzione di una volta, il contratto a tempo indeterminato sembra averlo rammollito un po', ha ricominciato ha guardarsi attorno e, ecco, hey! questa sembra davvero un'offerta interessate!

I FATTI: Dopo il primo colloquio ho aspettato quasi due settimane prima che il maledetto cellulare squillasse per il verdetto. A ogni minima vibrazione del telefono si è ripetuta la stessa sequenza di eventi: sussulto iniziale, occhiata circospetta per controllare se i colleghi avessero percepito qualcosa, camminata disinvolta fino alla porta, corsa forsennata fino all'angolo della strada. Naturalmente prima di ricevere la telefonata tanto attesa mi hanno chiamato: tutte le compagnie telefoniche nazionali per offrirmi piani tariffari inutili, alcuni amici che si erano dimenticati il numero privato e sono stati adeguatamente ringraziati, alcuni amici che chiamano dall'ufficio con il numero riservato e sono stati ringraziati anche loro, Dio per la consueta chiacchierata del giovedì, alcune agenzie per il lavoro che mi proponevano lavori da studente universitario credendomi forse un recalcitrante fuoricorso, il gommista per avvisarmi che la moto è pronta.

Alla fine è valsa la pena di aspettare perché il primo colloquio è andato bene, ora dovrò parlare con la responsabile HR della casa madre, che sta oltremanica, in Florida. L'appuntamento telefonico è per giovedì alle sei e un quarto.

Così giovedì mi fiondo fuori dall'ufficio alle sei in punto (cosa già sospetta di per sé, visto che almeno mezz'ora di straordinari non me li leva mai nessuno...) e a passo da maratoneta mi avvio a casa. Sono le sei e dieci quando arrivo, chiamo l'ascensore pensando a cosa dire e come dirlo, in inglese, chiudo le porte e l'ascensore parte lentamente.

L'ascensore parte - lentamente - ?!? Io non ho schiacciato nulla! La proiezione mentale del mio colloquio va in frantumi e viene sostituita in un attimo dalle immagini di mille film americani dove la cabina accelera sempre di più, schizza verso il cielo e poi piomba giù e fracassandosi al piano terra con un'esplosione fragorosa. Certamente farà un figurone sulla prima pagina del Secolo di domani.

Con la freddezza di chi è ormai rassegnato a morte certa ho analizzato le azioni a mia disposizione optando velocemente per l'opzione 3, variante c) : spalanca le porte e guarda che succede.

Eheh. Si è fermato. Sono le sei e dodici minuti. Ho tre minuti per uscire di qui.

Il numero del centro assistenza fa bella mostra di sé sulla targhetta metallica sopra la pulsantiera, ma una signorina gentile mi dice che il tecnico arriverà entro un quarto d'ora. Io non ho un quarto d'ora. Ho due minuti. Anche senza considerare l'ansia, l'acustica della cabina dell'ascensore è pessima.

Mi tolgo la giacca e mi sdraio sul pavimento, dondolando un braccio nell'intercapedine in cerca dell'interruttore di sicurezza che sblocca le porte esterne, nel frattempo prego che l'ascensore non riparta improvvisamente lasciandomi con un moncherino sanguinolento (altra bella immagine per il Secolo di domani). L'ascensore non riparte ma non riesco a raggiungere l'interruttore, e mi sento un po' stallone in Cliffhanger quando - idea geniale - mi ricordo conto di avere un fratello. Lo convoco velocemente. Intanto le sei e un quarto sono passate da 3 minuti. Mio fratello, opportunamente istruito, si presenta con il kit di disinnesco bombe e come Joe Morton in Decisione Critica gli insegno l'arte di sbloccare la sicurezza della porta. Clack! Come Indiana Jones rotolo fra il pavimento dell'ascensore e il soffitto, afferro all'ultimo secondo la giacca come fosse l'inseparabile cappello e corro su per le scale. A casa finalmente, sano e con il fiato corto dopo quattro piani di scale. Squilla il cellulare. Hello?

LESSONS LEARNED:
Avete in programma un colloquio di lavoro? Usate le scale.