mercoledì, giugno 27, 2007

Mototerapia.

MOTOTERAPIA [mo.to.te.ra.pì.a] s.f. - Uso di un motociclo finalizzato non al raggiungimento di una destinazione materiale quanto al conseguimento di uno stato di benessere spirituale.
Definizione di Ops! tratta da diabolicum.blogspot.com

Tambu parla qui di mototerapia e nonostante il post sia vecchio di tre anni riflette alla perfezione il mio stato d'animo di questi giorni. Lui ha scritto:
Oggi mi sbilancio alla grande: non sono solo contento... io oggi sono felice!!!
Io non posso che essere d'accordo. Nelle ultime settimane ogni volta che sono uscito con Amarilla è stato così: lei e la provinciale 67 sono diventate il mio rifugio dal groviglio di negatività che permea la maggior parte delle mie giornate. La differenza fra quando sono in sella e quando sto seduto alla scrivania è così marcata ed evidente che mi viene il sospetto di essere pazzo. Non so spiegare perché, un po' delle sensazioni che provo le ho raccontate da queste parti. Potrebbe essere l'estrema concentrazione che sgombera la mente dagli altri pensieri, la percezione di pericolo imminente che stimola il rilascio di adrenalina nel sangue, potrebbe essere quella pazza idea di poter toccare con un dito tutto ciò che mi circonda, o magari l'amalgama di profumi che mi investono quando alzo la visiera, potrebbero essere le vibrazioni del bicilindrico o il suo ruggito che riempie l'aria...

Non so spiegare perché ma sempre più spesso quando torno a casa, complici le lunghe giornate di giugno, saluto i miei, li consiglio caldamente di non aspettarmi per cena, prendo il casco ed esco. Non decido mai dove andare, seguo la strada, torno quando torno. Sempre troppo presto, sempre troppo tardi.

Spento il motore, mentre chiudo la saracinesca del box non penso più a scartoffie, scadenze, obiettivi. Sotto il casco allacciato stretto sorrido. Mi sbilancio alla grande: mentre chiudo la saracinesca del box, spento il motore, non sono solo contento... sono felice!!!

venerdì, giugno 15, 2007

Viaggio.

VIAGGIO [viàg.gio] s.m. - [...] 2. Giro attraverso luoghi o paesi diversi dal proprio, con soste e permanenze più o meno lunghe, allo scopo di conoscere, istruirsi, sviluppare o consolidare rapporti, divertirsi [...]
Definizione da Giacomo Devoto e Giancarlo Oli, "Il dizionario della lingua italiana", Le Monnier

Questa sera ho lasciato l'ufficio con il solito carico di dubbi, tensioni e quant'altro. Mi succede continuamente da quando ho cambiato lavoro e negli ultimi giorni sta anche peggiorando, tanto che devo costringermi ad alzarmi dalla scrivania perché altrimenti rimarrei lì giorno e notte in preda alla paranoia.

Sono uscito con soli trentacinque minuti di ritardo, per quanto i segni delle mie unghie che tentavano disperatamente di aggrapparsi alle suppellettili rimangano a imperitura memoria della mia lotta interiore. Passo dopo passo, ancora immerso nei miei pensieri, ho trovato il tempo di guardare il cielo e scoprire che, mentre lottavo con le mie ansie e le mie scartoffie, fuori le nuvole si erano diradate e il sole faceva timidamente capolino. Così sono stato colto da una folle idea.

Si, le sette sono probabilmente il momento in cui il traffico è più congestionato e la gente ha più voglia di tornare a casa. Ma dopotutto, chissenefrega.

Amarilla si è spenta 4 volte sulla prima rampa del box e ha saltellato come una puledra imbizzarrita sulla seconda, alla fine ho realizzato che probabilmente chiudo l'aria prima che il motore sia abbastanza caldo ma intanto le rampe erano finite.

La città all'ora di punta è popolata da quelli che non vedono l'ora di arrivare. È un luogo pericoloso, soprattutto per uno che vorrebbe semplicemente bighellonare un po'. Non c'è spazio per le incertezze o per cambiare idea, devi avere un obiettivo e giocare senza regole se lo vuoi raggiungere per cena. Io, goffo e imprevedibile come lo può essere solo un principiante, mi sentivo mal sopportato e decisamente fuori posto. Dopo pochi minuti la voglia di stare in sella già latitava, stavo accumulando una razione supplementare e gratuita di stress, ed un pur sempre forte attaccamento alla vita mi suggeriva di riguadagnare la via di casa.

Cercavo di evitare il traffico più congestionato e non credevo che avrei trovato tutti quei ricordi ad aspettarmi lungo la strada. Invece di svoltare ho proseguito verso l'entroterra. Piano piano mi sono lasciato il traffico alle spalle, poi l'ultima fermata dell'autobus, poi è cominciato un odore fortissimo di miele che veniva dalle acacie in fiore. Niente più palazzi ma solo villette a due piani circondate da giardini, le insegne delle osterie, la chiesa di campagna. Il cielo si rabbuia un po' ma ho ancora almeno un'oretta di luce a disposizione. Vado piano, proprio piano, provo a bilanciarmi e a spostare il peso per vedere come reagisce Amarilla, provo a scalare prima delle curve, provo a mandarla su di giri nei rettilinei, e mano a mano che mi sembra di capire come portare questi quasi duecento chili d'acciaio accelero un po' di più, freno un po' di più, piego un po' di più. Nonostante i miei sensi siano concentrati sulle sensazioni che mi trasmette lei non posso non farmi avvolgere da tutta questa natura. In sella percepisci subito gli odori, i colori, gli sbalzi di temperatura fra l'ombra e il sole, non c'è nulla che ti separi dal mondo e non guardi il paesaggio, come dal finestrino di un'auto, sei parte di esso. Non penso più a nulla.

Era da dieci anni, quando fresco di patente scarrozzavo in giro la panda carica di amici, che non facevo più un giro per il gusto di fare un giro. Sarà che siamo grandi e non abbiamo più tempo, sarà che con quegli amici non è che ci frequentiamo più tanto, saranno un sacco di cose ma oggi non posso che essere d'accordo con quelli che dicono che la cosa veramente importante non è la destinazione, ma il viaggio.

Alle ultime luci del crepuscolo sono tornato a casa sorridente e soddisfatto.

Però. Mi chiedo se valga la pena di essere così tutti i giorni, e per cosa poi, per la proiezione mentale di una felicità futura che non è assicurata da nessuna parte, per la carriera che chissà fin dove arriverò, per i soldi che una moto pagata due lire mi basta e mi avanza, per soddisfare il mio ego bastardo che probabilmente è più grande delle mie capacità. Voglio smettere. Qualcuno ha un cerotto?

lunedì, giugno 04, 2007

Felicità!

FELICITÀ [fe.li.ci.tà] s.f. - La compiuta esperienza di ogni appagamento [...] * concr. Avvenimento o stato conforme ai desideri [...]
Definizione da Giacomo Devoto e Giancarlo Oli, "Il dizionario della lingua italiana", Le Monnier

Sono d'accordo, la definizione non è illuminante. Il mio cuore di oggi è come il cuore di un bambino mentre scarta i pacchetti sotto l'albero e capisce che dentro quello che ha in mano c'è proprio il regalo che aspetta. Un regalo a lungo desiderato, di quelli che si schiaccia la faccia contro le vetrine per sbirciarli meglio, di quelli che quando passa la pubblicità in TV si sprecano i sospiri, di quelli che prima ancora di averli in mano si sa già come funzionano, di quelli che tutti gli altri lo hanno già ma lui lo voleva a tutti costi e finalmente eccolo lì, lo guarda con i suoi occhioni azzurri pieni di meraviglia e se lo rigira fra le mani, lo tiene alto sopra la testa quasi in controluce per osservarlo meglio e anche se non vede l'ora di giocarci lo fa vedere a mamma e papà e sa già che se ne vanterà con tutti perché non è che sia più bello o grande o potente degli altri, però finalmente è suo.

Questo mio regalo lo sto cercando dal giorno del mio compleanno. Ho valutato diverse opzioni, girato un sacco di posti, ascoltato troppi consigli. Ma più cercavo di andare a fondo nella questione più mi scoraggiavo e pensavo che anche questa volta avrei dovuto rimandare, che dopotutto non ne ho bisogno, è solo uno sfizio. Ho provato a ripiegare su qualcosa di poco costoso ma non era quello che volevo trovare sotto l'albero. E proprio quando stavo per desistere finalmente eccola quasi nascosta in mezzo a tante altre, la ho notata quasi per caso e ho subito deciso che sarebbe stata mia, è inutile, è stato amore a prima vista. Ho dovuto aspettare che la rimettessero in sesto e intanto schiacciavo la faccia sulla vetrina per riuscirla a intravedere. Fare tutti i documenti per portarla a casa non è stato facile, visto che ormai vivo in ufficio e il mio ufficio fa gli stessi orari di tutti gli altri. Con tutta quella carta sarebbe di certo uscito un bel pacchetto.

Finalmente oggi sono andato a prenderla. Suzuki SV 650. Gialla. Nata di luglio di un po' di anni fa. Sono il terzo proprietario ma non mi importa, perché è il frutto dalla mia fatica di questi mesi. Il motore ha un suono bello pieno, le vibrazioni che trasmette sono fantastiche, l'aria sulla faccia è meravigliosa! Avrei voluto portarla fino a casa ma ancora in mezzo al traffico non mi sento sicuro, però appena siamo arrivati ho spodestato il mio chauffeur e via!

La divisa non era certo quella del centauro, con quel casco ridicolo in testa, di una misura più piccolo, che mi hanno prestato perché ancora non sono riuscito a comprarne uno mio, per lo stesso motivo che anche i negozi fanno l'orario del mio ufficio. O meglio sono io che faccio gli orari di tutti gli altri. Sommati. Comunque il casco mi faceva anche male. Però non mi importava.

Provo a partire, spengo il motore. Allora riprovo, pedale in giù e metto la prima, lascio leggermente la leva sinistra e appena sento che la frizione attacca accelero leggermente. Troppo poco leggermente. La moto salta in avanti, si spegne e quasi cado. Provo a tornare indietro dieci metri ma è tanto pesante da spingere che quasi vado addosso a una tizia parcheggiata dentro una Fox bianca che ha subodorato qualcosa e mi osserva con gli occhi spalancati per il terrore. Intanto l'amico mio filma col cellulare. Immagino le risate quando lo vedranno gli altri.

Alla fine riesco a staccare i piedi da terra e dopo qualche altro tentativo li metto anche sui pedali. Al che, visto che ci sono, azzardo una seconda ma metto in folle. La moto si ferma lentamente. Scendo canticchiando la musichetta del game over. Sono stanco e felice, con le scarpe buone già segnate dal cambio dopo nemmeno mezz'ora. Strano ma vero, non me ne frega niente. Ho le gambe a pezzi un po' per l'emozione un po' per il tanto spingere avanti e indietro per questi 50 metri di via ma dentro di me ancora saltello dalla gioia. Porto Amarilla nel box, me la ammiro ancora per mezz'oretta alla luce del neon e finalmente torno a casa, dove naturalmente ne decanto le lodi a tutta la famiglia per tutta la sera.

Amarilla ovviamente è la mia bambina. In realtà ha un altro nome, però ho pensato che siccome io scrivo sotto pseudonimo sarebbe stato bello trovarne uno anche a lei. E da oggi i protagonisti del blog sono diventati due.