martedì, agosto 28, 2007

Hyperversum - Cecilia Randall

TITOLO: Hyperversum
AUTORE: Cecilia Randall
EDITORE: Giunti
ANNO: 2006
PAGINE: 720

Vi è mai capitato di comprare un libro e non sapete il perché? Ecco, io ero in coda alla cassa del supermercato e mentre aspettavo ho deciso che le offerte estive scontate del 30% potevano essere una buona occasione per leggere qualche cosa che non sia un blog o un forum, ogni tanto. Il favorevole rapporto fra spessore e prezzo, assieme all'enigmatica quarta di copertina ("La Terra si fermò in un punto preciso. È la storia, e non è più un gioco. Come uscire da Hyperversum?") hanno così attratto il Hyperversum verso il carrello della spesa.

L'impatto è stato mozzafiato, le prime pagine drammatiche. No, no, non preoccupatevi, pensavo di aver comprato un libro a cavallo fra fantasy e fantascienza, e non avevo sbagliato genere. Solo all'inizio sembrava di avere fra le mani la sceneggiatura di un B-movie anni '80: sei giovani americani vengono improvvisamente catapultati da un videogioco nella Francia del '200, tutti devono adattarsi loro malgrado alla nuova realtà tranne uno, che fin da principio dimostra tutte le qualità dell'eroe senza macchia e senza paura.

Abbastanza agghiacciante come prospettiva, o no?

Invece superato il primo impatto Hyperversum si è rivelato una lettura piacevole, che definirei da ombrellone, un romanzo non certo fantasy o fantascientifico, se non per l'espediente iniziale del viaggio nel tempo, anzi quasi un romanzo storico alla Ivanhoe. Non essendo esperto non posso esprimermi sull'accuratezza nella ricostruzione degli usi e costumi del tempo, ma da buon appassionato di fantasy ho apprezzato le succose descrizioni del mondo medioevale col quale devono fare i conti i protagonisti che fra scorci di vita quotidiana, tornei e matrimoni da favola vengono coinvolti nei giochi di potere nobiltà francese alla vigilia della battaglia di Bouvines (27 luglio 1214). Schieratisi inizialmente per necessità, svilupperanno presto legami quasi più forti di quelli che li legano al loro tempo, dando all'autrice modo di soffermarsi sui valori tipici della letteratura cavalleresca: virtù, fedeltà, amicizia, amore. La trama scorre abbastanza lineare, con pochi colpi di scena e piuttosto prevedibili, ma riesce comunque a mantenere un buon ritmo e un'ottima coerenza dalle prime alle ultime pagine, quasi fosse un film d'azione fra intrighi, duelli, inseguimenti e intrecci amorosi. Mi sono sorpreso più volte a pensare "solo un altro capitolo poi a letto". Non male visto l'esordio, peccato solo che la figura del protagonista sia davvero ingombrante e lasci poco spazio ai comprimari, che avrebbero meritato di essere tratteggiati in modo più completo e invece sembrano spesso andare a rimorchio delle azioni dell'eroe di turno.

Un altro punto a favore è la buona qualità dell'italiano, caratteristica che non do più tanto per scontata dopo le ultime letture: a favore di Cecilia Randall gioca senz'altro il fatto di essere italianissima, infatti dopo una rapida ricerca su Google ho scoperto che dietro questo pseudonimo si cela l'emiliana Cecilia Randazzo (avevo sospettato italiche origini già leggendo i rigraziamenti eh, ma poi mi son detto magari il traduttore è stato molto zelante), autrice non solo di Hyperversum ma di altre novelle e disegnatrice chiaramente influenzata dallo stile dei manga giapponesi.

Deludente invece l'epilogo, veramente poco originale, deciso scivolone che sembra cucinato ad hoc per aprire la strada ad un seguito, del quale al giorno d'oggi nessun autore sembra poter fare a meno... e infatti in giro per la rete ho trovato annunciata l'uscita del secondo volume.

Il giudizio finale è quello di un buon romanzo di cappa e spada, piacevole da leggere e avvincente il giusto. Ottimo per l'estate o per rilassarsi la sera, anche se credo che non comprerò il seguito. O magari lo comprerò l'estate prossima.

Per dovere di cronaca, questa intervista su KULT Underground smonta buona parte della mia recensione. Eh, che dire, non sono perfetto.

lunedì, agosto 20, 2007

Polvere di fris(t)elle

Frisella [fri.sèl.la] s.f. - Piccola forma di pane secco [...] che si consuma generalmente con pomodoro fresco, olio e sale, dopo averla fatta rinvenire in acqua.
Definizione da Giacomo Devoto e Giancarlo Oli, "Il dizionario della lingua italiana", Le Monnier

E così le ferie sono finite anche per me. Non ho nemmeno fatto in tempo ad accorgermi che fossero iniziate, in realtà.

Lo scorso fine settimana prove generali in Piemonte, per la prima volta in sella. Niente autostrade, niente statali, mi sono inerpicato su strade che sono quasi sentieri fra i boschi di Liguria e Piemonte. Scarsamente trafficate credo sia la definizione più adatta. Dopo un incipit sotto le nuvole del Turchino e la nebbia del Faiallo come un pellegrino medioevale ho avuto il sole a farmi compagnia sulle Langhe, ancora deserte alle 8 e mezza del mattino, che con le loro dolci curve mi hanno portato a destinazione. Totale: 4 ore di moto. Inizia bene. Quando sono arrivato i parentes avevano già imbandito la tavola con sugo di salsiccia e lo stufato con patate. Prosegue meglio. E poi nel pomeriggio ho fatto il bagnetto ad Amarilla che ne aveva davvero bisogno e una bella gita fino a Viola di cui avevo davvero bisogno io, dove con il Master ed altri amici ci siamo sparati un bel po' di stelle cadenti e di cazzate. Gran finale.

Lunedì mattina alle 5 am ritorno sotto l'acqua (regolare, avevo appena lavato la bestiola), divertendomi un po' meno (non è vero) e chiedendomi perché, perché mai sul colle di Cadibona le auto possono andare a 80 e i motociclisti solo a 60? Ma che senso ha? Ci volete far arrotare?

Martedì invece sono iniziate le ferie. Vorrei tributare un grazie a Trenitalia perché le cuccette della Freccia Adriatica sono probabilmente le stesse che portavano i nostri soldati al fronte durante la Grande Guerra, solo vanno in un'altra direzione. Ne è valsa la pena però, perché a Metaponto, dopo 13 ore di viaggio, sembrava di essere su una spiaggia della Polinesia, con tanto sole, sabbia finissima, un cielo azzurro intenso senza una nuvola e un mare pulito e bellissimo. E poca gente. La cucina di casa Compà e le granite fantastiche di Sant'Arcangelo, assieme alle mie dormite che in pochi giorni sono diventate leggendarie in tutto lo paese, hanno contribuito a restituirmi qualche goccia della serenità perduta. Sui kart ho fatto scorrere l'adrenalina ingarellandomi di brutto e i fuochi d'artificio di San Rocco mi hanno incantato come sempre, assieme alla bellezza delle ragazze del sud e alla dignità di quelle vecchine in nero sedute sui gradini, nei vicoli de lo paese, che guardano le nuvole e la gente chiassosa passare e pensano a chissà cosa con i loro occhi profondi come il mare.

Ho passato le mie ferie in una regione quasi deserta, dove tutti i giovani, più e meno coetanei, con i quali ho parlato sono stati costretti a emigrare per trovare un lavoro come "uomini liberi" da un sistema clientelare che strangola tutto, che si percepisce anche dal finestrino dell'auto negli scheletri di costruzioni mai finite, nelle immense cattedrali nel deserto che si incontrano di quando in quando, nelle insegne sbiadite di negozi un po' vuoti. Il paesaggio riarso dal sole, le colline argillose e l'erba gialla, la duna mediterranea, tutto sembra comunicare un atavico senso di stanchezza e di insofferenza, poi però senti questi ragazzi parlare e scopri che dietro la curva ci sono anche campi di grano e foreste di ulivi, animali al pascolo e il lago del Pertusillo, la pista di kart dove correre a rotta di collo e il lido Dom Pablo dove rilassarsi sotto gli ombrelloni di fascina, il cielo pieno di stelle e la voglia di fare e di spezzare le catene.

Il ritorno è stato tranquillo, in aereo. Sono due anni che non stacco dal lavoro per più di qualche giorno e comincio a essere stanco. La giornata in ufficio è stata mediamente orribile, ma nello zaino ho un pacco di friselle di Sant'Arcangelo, un po' frantumate dal viaggio.

Polvere di friselle, sarà magica?